Dall’attestazione unica si risale verso l’equivalente dell’originale attraverso eventuali incoerenze e discontinuità di certezza avvertite nel suo interno. La critica interna, applicandosi a quella ‘proiezione sul piano’ che è il manoscritto unica, ne ricava uno spazio e ricostruisce, detto anche con altra metafora, una ‘diacronia’. (È acquisito il parallelismo della critica testuale alla linguistica comparata ed è razionale proseguire il parallelismo fino alla linguistica strutturale, visto che la ricostruzione dell’originale è il rintracciamento di uno stato sincronico e l’abbandono del manoscritto unico significa ricavare dati diacronici, a ritroso, dalle disuguaglianze, che sempre ci sono in lingua, di uno stato sincronico, per ricavare uno stato sincronico più arretrato. La ricostruzione dell’originale è formalmente assimilibile alla ricostruzione dell’indoeuropeo meno in Bopp che in Saussure). Il ricostruito è più vero del documento.
Il testo originale, materialmente inteso, può essere scritto dall’autore (autografo o sotto sua sorveglianza (idiografo, oppure può essere un’edizione a stampa da lui controllata e approvata.
Fra tutte, però, la nozione che per i testi medievali appariva più ambigua era quella principale, cioè quella di originale. Essa era stata considerata a lungo intuitiva: si trattava del testo creato dalla penna dell’autore, che doveva essere restaurato eliminando incrostazioni e degenerazioni che l’avevano via via corrotto nel corso del tempo. Per i testi classici, una simile definizione appariva sufficientemente adeguata: la dicotomia fra ‘originale’ e ‘copia’ traeva consistenza dal divario temporale che in genere le separava.