Con «filologia d’autore» si designa l’insieme di metodi e problemi relativi all’edizione di opere conservate da uno o più manoscritti (o idiografi), oppure da stampe sorvegliate dall’autore e ci si sposta, questa volta, su testi prevalentemente moderni e contemporanei.
Essa concentra la sua attenzione sul momento creativo e formula ipotesi, in base ai materiali conservati, sul rapporto tra autore e testo sia nella fase di gestazione, sia nella fase spesso tormentata che, dopo la prima pubblicazione, porta talvolta a rifacimenti più o meno numerosi e complessi.
La filologia d’autore, secondo la fortunata formula coniata da Isella, si distingue dalla filologia della copia perché prende in esame le varianti introdotte dall’autore stesso sul manoscritto o su una stampa; varianti che testimoniano dunque una sua diversa volontà, un cambiamento di prospettiva, più o meno ingente, rispetto a un determinato testo. L’oggetto di studio della filologia d’autore, quindi, è costituito da un lato dallo studio dell’elaborazione di un testo di cui ci è giunto l’autografo e che reca in sé tracce di correzioni e revisioni d’autore (opus in fieri), dall’altro dall’esame delle diverse redazioni, manoscritte o a stampa, di un’opera.
Per la filologia d’autore e la critica delle varianti, infatti, la poeticità del testo non è un “dato”, un “valore” stabilito, ma come si è già detto, una “approssimazione al valore”, che comprende ed è il risultato di tutti i testi che l’hanno preceduto, di tutti gli avantesti.