Che significato hanno per il critico i manoscritti corretti degli autori? Vi sono essenzialmente due modi di considerare un’opera di poesia: v’è un modo, per così dire, statico, che vi ragiona attorno come un oggetto o risultato, e in definitiva riesce a una descrizione caratterizzante; e vi è un modo dinamico, che la vede quale opera umana o lavoro in fieri, e tende a rappresentarne drammaticamente la vita dialettica. Il primo stima l’opera poetica un “valore”; il secondo, una perenne “approssimazione al valore” e potrebbe definirsi, rispetto a quel primo e assoluto modo, un modo, in senso altissimo, “pedagogico”. È a questa considerazione pedagogica dell’arte che spetta l’interesse delle redazioni successive e delle varianti d’autore.
I freni pragmatici che possono intervenire innanzi a un testo non perfettamente eseguito, di esistenza incontestabile, e già conosciuto in un modo che semmai solo retrospettivamente si potrà qualificare di provvisorio. La filologia, quando ne ha i mezzi, riapre questo testo chiuso e statico, lo fa aperto e dinamico, lo ripropone nel tempo. La riapertura si opera in direzioni opposte, dopo e prima del testo.